ALOPECIA AREATA

13.02.2014 12:27

ALOPECIA AREATA

Roberto d'Ovidio

Is there another disease in the whole field of dermatology that has more

emotional impact, scientific and pseudo-scientific conjecture, or has been

more exploited by charlatans, than alopecia areata?” K.J.Freeman (1952)

 

 

Introduzione

L'alopecia areata è la patologia più frequente del sistema pilifero, interessa

circa l’1% della popolazione,ma probabilmente nelle sue forme più lievi è

molto più frequente. Si caratterizza per comparsa di chiazze prive di peli,

asintomatiche e non cicatriziali, di forma per lo più rotondeggiante, di

numero e di dimensioni variabili e che si possono estendere a tutto il cuoio

capelluto e alle altre zone pilifere. Qualche volta la cute si presenta

lievemente eritematosa ed edematosa. Nel 10% dei casi sono presenti

lesioni ungueali. Molto spesso la remissione è spontanea, ma si stima che

il 10%-30% dei pazienti evolvano nelle forme più estese

cronico/recidivanti e meno dell’ 1% in quella Universale. Non mostra

particolare predilezione di sesso e colpisce soprattutto soggetti di razza

caucasica ed orientale. L'alopecia areata può esordire a qualsiasi età, ma

possono essere evidenziati due picchi di frequenza: prima della pubertà e

tra i 20 ed i 40 anni. Nonostante la sua benignità clinica la patologia può

avere un impatto devastante sulla qualità della vita dei pazienti e dei loro

congiunti, soprattutto nei casi pediatrici e nelle donne.

Cenni storici

La storia dell'alopecia areata è profondamente legata a quella della

medicina e in particolare al nascere della dermatologia quale arte coltivata

da medici per capire attraverso gli sfoghi della pelle gli umori interni dei

pazienti. Medici specializzati in "malattie della testa" (iatroi kefalés) sono

presenti già nell'antico Egitto.A Tebe infatti sono stati scoperti papiri

dermatologici” risalenti al 1550 a.C. nei quali vengono descritte

patologie cutanee identificabili con sufficiente attendibilità, tra le quali

l'alopecia areata. Pare che una delle più belle donne dell’antichità, la

regina Nefertiti, ne fosse affetta. Il primo ad adoperare il termine

"alopecia" fu Ippocrate, che ne suggeriva il trattamento con oppioidi.

Conoscitore dell'opera di Ippocrate fu Aulo Cornelio Celso, che prestava

la sua opera di medico a Roma tra il 37 ed il 14 a.C. Celso fu autore di un

trattato, il "De Re Medica", di capitale importanza per la medicina in

generale e per la dermatologia in particolare, nei cui libri IV e V viene

descritta l'alopecia areata nella varietà ofiasica, e viene già distinta dal

defluvio. Bisogna arrivare al Rinascimento per ritrovare le tracce dell'

Area Celsi”, come veniva chiamata all'epoca. Fu Nicolò V, Papa dal

1471 al 1484, a riscoprire e divulgare il "De Re Medica". In quegli anni un

famoso dermatologo di Ferrara, tale Giovanni Mainardi, cultore in special

modo delle malattie del cuoio capelluto, tenne a sottolineare la differenza

tra l'Area Celsi, vera malattia, e l'alopecia "volgare" (l’ alopecia

androgenetica) nella quale i capelli cadono, scrisse il Mainardi,

probabilmente per scarsità di "umori". La prima definizione di “Alopecia

Areata” risale al francese Sauvage nella sua Nosologia Medica del 1760.

Robert Willan coniò il termine “Porrigo Tonsurans”, che il barone Alibert

(allora medico in capo dell’ospedale Saint Louis di Parigi) nel suo famoso

"Trattato compiuto delle malattie della pelle" considererà sinonimo di

Porrigo Decalvans”. Si fa cenno all'alopecia areata nel capitolo delle

dermatosi tignose, cioè: "di quelle eruzioni aventi per special sede il

derma capelluto" con riferimento alle porrigini, cioè alle infiammazioni

del cuoio capelluto con o senza perdita di capelli. La varietà con perdita di

capelli prende il nome di porrigo tonsoria o decalvante. Nel descrivere

questa forma, l'autore crea confusione poiché sottolinea la presenza di

numerosi casi negli ospizi e in molti collegi di Parigi e aggiunge che forse

Celso abbia voluto comprendere queste (le porrigini tonsorie) in un genere

da esso creato col nome di “area”. Queste affermazioni ebbero

conseguenze funeste sull’inquadramento nosologico della malattia. A

metà del 1600 nasce il microscopio e Marcello Malpighi fu il primo a

guardare la pelle con questo nuovo strumento. Negli anni successivi le

malattie dermatologiche vennero studiate analizzando capelli, squame,

forfore. Nel 1840 si verificò in Francia una epidemia scolastica di perdita

di capelli a chiazze. La malattia venne descritta dal dermatologo Cazenave

e da lui definita "herpes tonsurans capilliti". Fu David Gruby, ungherese,

di stanza a Parigi ed appassionato microscopista, a descrivere nel 1843 le

spore di un fungo (il microsporum) in questa particolare forma di alopecia

da lui sventuratamente etichettata -seguendo i dettami di Alibert.- “Porrigo

Decalvans detta area di Celso”, dando così inizio all’ipotesi patogenetica

parassitaria dell’Alopecia Areata. Si trattava invece di una epidemia di

tigna microsporica, con perdita di capelli a grandi chiazze circolari, ancora

sconosciuta in Europa e verosimilmente importata dalle colonie francesi

del sud-est asiatico, dove la malattia era endemica, dai figli dei

diplomatici e degli amministratori. ".

Nel 1851 Hebra distinguerà chiaramente l’Herpes Tonsurans

dall’Alopecia Areata, pur rispettandone per molto tempo l’ipotesi

patogenetica parassitaria. E' necessario sottolineare, d'altro canto, che, a

quell'epoca, la spinta all'osservazione microscopica porta a trovare

parassiti dappertutto e non solo nell'alopecia areata. George Thin descrive

un “Bacterium Decalvans”, Sabouraud nel 1896 attribuisce la malattia al

Microbacillo della seborrea” che non era altro che il Pityrosporum,

agente causale della Pityriasis Versicolor. Pentiti forse di questa

confusione, attualmente per i Francesi l’Alopecia Areata è sinteticamente

definita “Pelade”. Ancora nel 1913 i dermatologi americani non

escludevano un’origine parassitaria dell’Alopecia Areata, mentre negli

anni più recenti è stata proposta un’etiologia virale,che ha trovato però

scarsi riscontri. Bisogna dire del resto che ancora non esiste una

spiegazione esaustiva per le epidemie di Alopecia Areata in alcune

comunità chiuse. Nel 1858 il berlinese Von Barensprung propose per

l’Alopecia Areata l’ipotesi patogenetica “Trofoneurotica”, che postula un

disturbo trofico della papilla pilare dovuto al danneggiamento dell’asse

neurovascolare che la nutre. Questa ipotesi è supportata dalla comparsa di

alopecia (ma non con le caratteristiche cliniche dell’AA) in animali da

esperimento dopo sezione dell’innervazione locale,dalla comparsa

dell’Area Celsi dopo stress emozionali o traumatismi locali (vasospasmo)

e dai recenti studi sul ruolo dei neuropeptidi nella regolazione del ciclo

pilare. La patogenesi “focale” dell’Alopecia Areata si ricollega a quella

trofoneurotica, postulando un “riflesso nervoso” su base flogistica (ascessi

dentari,sinusiti…) o semplicemente irritativa come malocclusioni dentarie,

otturazioni incongrue, difetti di rifrazione e accomodazione. Haynes e

Parry nel 1949 riportarono la guarigione in 3 mesi e senza recidive di 59

casi di AA su 61 attraverso la correzione con occhiali dei loro problemi di

rifrazione. Attualmente i Dermatologi tendono a trascurare od a negare

l’importanza di questi fattori. Tra gli anni ’30 e ’50 si affaccia l’ipotesi

patogenetica endocrina. Alla sua base ci sono le seguenti ragioni:

1) La malattia è più grave se insorge prima della pubertà.

2) E’ possibile un miglioramento spontaneo nel corso della gravidanza.

3) Si associa spesso a patologie tiroidee.

Qualche successo viene riportato con trattamenti a base di estratti

ipofisari, corticosurrenalici, tiroidei od ormoni sia femminili che maschili.

Negli anni ’60 l’irruzione sulla scena di una nuova disciplina,

l’Immunologia, apre nuove prospettive all’interpretazione anche di questa

patologia. Le eventuali contestuali alterazioni endocrinologiche vengono

attribuite a reazioni autoimmunitarie organo-specifiche nei confronti di

Tiroide, Surreni, Timo e Gonadi ed infine anche l’Alopecia Areata entra a

far parte negli anni ’80 della nuova grande famiglia delle malattie

autoimmuni. Conseguentemente anche l’approccio terapeutico si orienta

verso l’immunomodulazione/immunosoppressione sia topica che

sistemica, con risultati spesso deludenti, ma che comunque possono essere

utili nell’identificazione dei processi patogenetici di questa sindrome.

Manifestazioni cliniche

La lesione iniziale di AA e nei casi più caratteristici una chiazza circoscritta

totalmente glabra e liscia. La superficie della chiazza è bianca

o più raramente rosea, soprattutto nelle fasi iniziali, liscia e senza

squame. Ai suoi margini possono essere presenti capelli a punto

esclamativo e peli cadaverizzati.. I primi sono peli corti (2-4

millimetri dall’ostio follicolare), con diametro e colore che si riducono

in senso prossimale. I secondi sono piccoli punti neri a livello della

cute alopecica, dovuti all’accumulo di cheratina, sebo e melanina a

livello degli infundibuli dilatati dei follicoli piliferi. Entrambi

venivano considerati un segno di attività della malattia, ma i primi

sono capelli con bulbo in Telogen e quindi il processo che li ha causati

può risalire a diverse settimane prima, senza contare che in alcuni casi

si può assistere al fenomeno della “rivitalizzazione” del pelo a punto

esclamativo. Ci è infatti capitato di osservare in soggetti in fase di

remissione spontanea o sotto terapia steroidea capelli con il tipico

aspetto distale a clava,ma più lunghi di quelli tipici e con radice in

Anagen normale o leggermente distrofica (fig.1) (1).

Fig.1 Peli a punto esclamativo normali a sn; peli a punto esclamativo “rianimati” a

dx (freccia rossa)

Questo riscontro, che va considerato quindi un segno prognostico

positivo, è importante anche perché ci conferma che l’induzione del

Catagen anche nell’Alopecia Areata, come si è visto in chemio- o

radioterapia- è un fenomeno reversibile (2). I peli cadaverizzati o

pseudo comedoni, che quando contengono solo residui non pigmentati

vengono invece definiti “yellow dots”, possono permanere fino alla

loro espulsione da parte del pelo in ricrescita e quindi anch’essi non

possono essere considerati segno di attività della malattia (3). Ai bordi

delle chiazze i capelli possono essere facilmente estratti con bulbi in

Telogen o spezzati, in Anagen distrofico, nelle fasi acute e questo

corrisponde al dato istopatologico di un discreto infiltrato

linfomononucleare che avvolge “a sciame d’api” la porzione bulbare

del follicolo (4). Sono generalmente assenti sintomi soggettivi,ma

alcuni pazienti lamentano prurito, sensibilità o parestesie dolorose

immediatamente precedenti lo sviluppo di una nuova lesione .

La chiazza iniziale può guarire in pochi mesi, o possono apparire

nuove chiazze dopo un intervallo di 3-6 settimane, anche mentre la

prima va in remissione.Spesso queste nuove lesioni non sono da

considerare recidive, ma sono coeve rispetto alle prime, ma

conseguenza di un ritardato Telogen Effluvium, rispetto all’Anagen

Effluvium che ha interessato le prime lesioni. Le chiazze isolate

possono confluire più o meno rapidamente per una diffusa perdita dei

rimanenti capelli. In alcuni casi, comunque, la perdita iniziale dei

capelli è diffusa e una alopecia totale del cuoio capelluto si puo

verificare nel giro di 48 ore. Quando inizia la ricrescita dei capelli essi

sono all'inizio solitamente sottili e non pigmentati.. I capelli bianchi

sono spesso risparmiati dalla malattia e se questa insorge in modo

acuto in paziente brizzolato questi può ritrovarsi improvvisamente

imbiancato, in quanto la patologia colpisce soprattutto –ma non

esclusivamente- i capelli pigmentati, che poi gradualmente

riprendono il loro normale calibro e colore. Questo fenomeno prende

il nome dalla sovrana Maria Antonietta si verifica spesso in circostanze

drammatiche dove un grave stress induce un’ AA acuta ed ha colpito

anche altre illustri figure storiche soggette alla decapitazione, come

Maria Stuarda e Francesco Bacone (5) (fig.2).

Fig.2 Fenomeno di Maria Antonietta in remissione

L'estensione dell’ alopecia lungo i margini del cuoio capelluto è

conosciuta con il termine di Ofiasi poiché le chiazze presenti sul bordo del

capillizio tendono ad estendersi serpeggiando verso le aree più centrali del

cuoio capelluto.La definizione Alopecia Totale viene applicata ai casi di

una totale o quasi totale perdita di capelli e il quella di Alopecia

Universale si applica ai casi in cui vengono persi anche tutti i peli del

corpo. L'AA può rimanere confinata a singole chiazze del cuoio

capelluto, o della barba, o a una estremità, o sulle ciglia o sulle

sopracciglia magari di un occhio soltanto, zone con anagen di breve

durata e telogen relativamente lungo e quindi teoricamente meno

interessabili da una patologia che dovrebbe interessare i peli anageni a più

alto indice mitotico (cfr “ Patodinamica”). D’altro canto qualsiasi sia la

zona di inizio non può essere esclusa una successiva generalizzazione della

malattia.

Forme Atipiche di Alopecia Areata

Molto più raramente l’AA può presentarsi in forme atipiche, spesso fonte di

errori diagnostici. Le più rare sono le forme Androgenetica-like (fig.3), che in

genere si osservano nei casi in ricrescita, con pattern maschile o femminile.

Sono più facilmente diagnosticabili nei casi pediatrici, ma sono presenti anche

in adulti. Spesso si tratta di pazienti precedentemente trattati con steroidi

sistemici

Fig. 3. A.Androgenetica-like con vellus

Un’altra forma rara è la Sisaipho, definizione spiritosa per ciò che altri

preferiscono definire “Ophiasis Inversus”. La definizione fa comprendere che

si tratta di un’AA che invece di partire dai bordi del cuoio capelluto, si espande

a partire dalle aree centrali.

fig.4 Sisaipho con ricrescita “a bersaglio”.

La fig.4 mostra un caso di Sisaipho con un pattern di ricrescita particolare

detto “targetoid”, cioè con ricrescita concentrica a figura di bersaglio. Si è

ipotizzato che potrebbe rappresentare l’aspetto speculare dell’ espansione a

’”onda patologica centrifuga” che Eckert (6) ha identificato nel meccanismo di

espansione delle chiazze alopeciche (vedi “Patodinamica”).

La forma che pone più problemi diagnostici e nosologici,oltre che patogenetici

è l’ alopecia areata diffusa o “incognita” (7).Si presenta con un diradamento

diffuso di lunga durata, senza evidenti chiazze alopeciche, che

interessa tutto l’ambito del cuoio capelluto (fig.5 ). All’esame dermatoscopico

si osservano yellow dots e capelli miniaturizzati (8). Istologicamente si

possono osservare capelli miniaturizzati ed un infiltrato infiammatorio

peribulbare che può coinvolgere però anche il compartimento staminale (9).

Fig.5 Alopecia Areata incognita, trattata incongruamente

Alterazioni cliniche associate

Unghie. La alopecia areata si accompagna spesso anche ad alterazioni

ungueali, a dimostrazione che la noxa patogena che colpisce i peli colpisce

altre strutture cheratinizzate come le unghie, più frequentemente nelle

forme gravi. L'incidenza della distrofia delle unghie varia da più del 60%

al 2-3% dei casi, chiaramente dipendendo dalla diligenza con cui tali

alterazioni vengono cercate, ma essa dipende anche dalla gravità dell'AA

(10). I danni ungueali possono presentarsi in vario modo (fig.6): il pitting

è l'alterazione più comune, si tratta di depressioni cupuliformi disposte "a

ditale da cucito". Talvolta si osservano anche avvallamenti trasversali

(linee di Beau), probabilmente in relazione ad una noxa patogena più

forte che ha agito in uno spazio di tempo ristretto. In un numero limitato

di pazienti, valutato intorno al 3%, l'alopecia areata si associa ad

onicopatia grave che coinvolge tutte le venti unghie "twenty nail

distrophy" o "trachionichia" (tracus = ruvido).Nella trachionichia la

lamina ungueale assume un aspetto simile a quello di una superficie

scartavetrata. La trachionichia è più frequente nei bambini ed il suo

esordio può precedere o seguire quello della alopecia areata anche di anni

ed il suo decorso non appare quindi legato a quello della alopecia areata,

cosa che vale del resto anche per le alterazioni meno gravi. La

trachionichia ha comunque andamento benigno e tende ad una lenta

regressione spontanea nel giro di qualche anno. Più raro è il fenomeno

della “red lunula”, presente anche in altre immunopatie come LES,Artrite

Reumatoide,Psoriasi, ma anche nell’etilismo e nell’insufficienza

cardiovascolare e respiratoria, legato alla congestione dei capillari sub

ungueali della lunula (11).

Fig.6. Alterazioni ungueali. a) pitting; b) linee di Beau; c) leuconichia punctata; d)

trachionichia.

Occhi.

Ci sono molti casi descritti di un' associazione tra gravi forme di

Alopecia e cataratta (12) e in due di cinque casi adulti una rapida

diminuzione della vista coincideva con episodi di alopecia improvvisa

e diffusa.In un ampio e più recente studio alterazioni della cornea e

della retina si sono dimostrate più frequenti nei pazienti con AAsoprattutto

atopici e con altre forme di autoimmunità- rispetto ai

controlli. Se ne deduce che tutti i pazienti affetti da AA,

indipendentemente dalla forma e dall’ estensione, andrebbero

sottoposti a consulenza oculistica (13).

Altre associazioni

L'associazione dell'AA con atopia (25%-40% dei casi), vitiligine (5% dei

casi) e varie alterazioni immunoendocrine, soprattutto tiroidee (25%

dei casi), dovrebbe essere sempre ricercata nel paziente e nella sua

famiglia. Sono riferite altre associazioni forse correlabili a processi

flogistici ipofisari: per esempio ritardo di crescita,

criptorchidismo,ipogonadismo (14). L'AA è una componente della

sindrome di Vogt-Koyanagi.Arada, malattia che associa Vitiligine,

Uveite disturbi uditivi ed interessamento menigeo.Attualmente questa

sindrome è considerata una patologia autoimmune cellulo-mediata

avente come bersaglio i melanociti di tutti i distretti interessati, diretta

contro proteine collegate alla Tirosinasi (TRP1 e TRP2) (15). Nella

Sindrome Poliendocrina autoimmune l’AA può ritrovarsi

incostantemente associata a iposurrenalismo, tiroiditi, vitiligine. La

malattia è dovuta a mutazioni del gene FOXP3 (Forkhead box P3) che si

trova sul cromosoma X. Questo gene è espresso ad alti livelli nel timo,

nella milza, nei linfonodi, ma soprattutto nei linfociti CD4+CD25+ con

attività T-regolatoria. La loro funzione è quella di modulare la risposta

immunitaria, sia B che T cellulare, attraverso meccanismi

immunosoppressivi, in particolare per contatto cellulare. L’importanza dei

T-regolatori nel mantenimento dell’omeostasi immunitaria è dimostrata

dal fatto che la deplezione della sottopopolazione CD4+ CD25+ porta

spontaneamente e rapidamente a diverse manifestazioni autoimmuni

cellulo-mediate, come tiroiditi, gastriti e diabete mellito di tipo 1. Anche

nell’AA sperimentale è stata dimostrata l’importanza di questa

sottopolazione (16).

Etiopatogenesi

Infezioni

Abbandonata l’ipotesi patogenetica fungina e batterica si sono fatti avanti

nel ruolo di agente etiologico i virus, che potrebbero la malattia con

meccanismi simili a quelli imputati nella patogenesi di altre malattie

autoimmuni a possibile eziologia virale (Diabete tipo I). Il concetto base è

quello del mimetismo molecolare, ma non ci sono dati conclusivi (17).

Fattori immunologici

La convinzione che l’Alopecia Areata sia una malattia autoimmune si basa

su molti riscontri. Negli ultimi decenni è stato evidenziato il ruolo delle

popolazioni linfocitarie, che mostravano variazioni sia del numero totale

dei T linfociti che delle loro sottopopolazioni linfocitarie nel sangue

periferico.Si è osservato che le sottopopolazioni linfocitarie e le

immunocitochine variavano nelle diverse fasi della malattia (18 ), possibili

spie dell’attività locale dei processi patologici. I linfociti CD8 attivati

rappresenterebbero i veri effettori citotossici del danno follicolare,

coadiuvati dai CD4 indispensabili nell’innesco del processo autoimmune

(19). I linfociti T attivati hanno inoltre la capacità di rilasciare citochine

come l’Interferon-γ, in grado di inibire la proliferazione dei cheratinocite e

di far esprimere alle cellule follicolari gli antigeni di istocompatibilità

riconoscibili dalle cellule T citotossiche.La popolazione CD4-CD25

sarebbe in grado inibire sia attraverso la secrezione di citochine inibitorie

(TGFβ e IL10) il processo autoimmune e sarebbe la responsabile dei

successi terapeutici dell’ immunoterapia topica con SADBE o

Difenciprone (20). Molto recentemente è stato ipotizzato un ruolo dei

linfociti Natural Killer nella genesi dell’ AA (21). Per quanto riguarda il

braccio dell’immunità umorale, nelle lesioni alopeciche sono presenti rari

linfociti B, plasmacellule e – non costantemente- depositi di

immunoglobuline e complemento sulle membrane connettivali e qualche

volta sulle cellule della guaina epiteliale esterna (22,23). Tobin ha

ripetutamente dimostrato nell’uomo e negli animali suscettibili alla

malattia anticorpi IgG diretti verso proteine di 45-60 kDa - una di queste è

la tricoialina, un’altra è la citocheratina 16 - non tanto in grado di indurre

lesioni alopeciche, quanto di inibire la ricrescita dei peli nelle aree in cui

vengono iniettati (24). A tutt’oggi invece sono pochi gli studi sul

comportamento in questa patologia delle varie popolazioni di cellule

dendritiche, responsabili della presentazione ai linfociti T di antigeni e

autoantigeni e implicate quindi nella genesi di molte malattie su base

immunologia (allergiche ed autoimmuni). Un fattore importante che può

giocare un ruolo nella patogenesi dell’Alopecia Areata è in effetti il

cosiddetto "privilegio immunitario" del follicolo pilifero. Ciò significa che

il sistema immunitario non è in grado di riconoscere tutti gli antigeni

presenti nel follicolo pilifero, perché "sequestrati" in posizioni non

accessibili alle cellule infiammatorie capaci di "vederli" e per l’assenza, in

condizioni normali,degli antigeni di istompatibilità di I e II classe e di

cellule denditriche in grado di presentare neoantigeni. Nell’Alopecia

Areata in fase attiva è invece frequente il riscontro di numerose cellule

dendritiche disposte alla periferia e nel contesto dei follicoli piliferi affetti,

soprattutto nella porzione bulbare, che rappresenta la principale area target

in questa patologia (25). Questo infiltrato si riduce drasticamente nel caso

di trattamenti efficaci (26).

Sostanze chimiche e farmaci

Possono spiegare qualche episodio di AA “epidemica” senza tirare in

ballo ipotetici agenti infettvi. Ben documentata è la piccola epidemia di

AA tra gli operai di una cartiera. Il ruolo etiologico è stato attribuita

all’acrilamide, la cui presenza è stata segnalata in tutti i casi interessati

(27). L’antidepressivo fluvoxamina, come anche altri farmaci psicotropi,

è stato associato alla comparsa di AA (28), è però difficile stabilire se in

questi casi ci sia un legame diretto causa-effetto, data la loro utilizzazione

per problematiche che si associano spesso all’AA .

Fattori psicologici

E’ da tempo immemorabile che resoconti anedottici attribuiscono lo

scatenamento o l’ aggravamento dell’ AA allo “stress”. Un recente studio

caso/controllo ha dimostrato la maggiore frequenza di eventi stressanti –

per lo più familiari- nei pazienti affetti da AA, soprattutto donne, rispetto

ai controlli (29).

Un altro studio ha dimostrato che sebbene gli effetti di stress psico-sociali

possano essere in causa sia nei bambini che negli adulti, non vi è nessuna

correlazione tra gravità dell’alopecia, stato psicologico del paziente e

intensità dello stress subito (30). Il fattore stressante più importante

sembra essere proprio la compromissione dell’ aspetto estetico ( 31).

Mentre alcuni non trovano differenze in termini quantitativi o qualitativi

tra pazienti alopecici e controlli sani negli eventi stressanti subiti nel corso

dell’anno precedente (32), sembra invece essere più frequente il riscontro

di traumi infantili nei pazienti adulti affetti da AA, rispetto ai controlli.

Questo dato è importante poiché si è visto che è proprio nell’ età infantile

che l’ organismo “tara” il suo asse ipotalamo-ipofisario-surrene nei

confronti dell’ adattamento e quindi della “sensibilità” agli stress ( 33).

Disturbi psichiatrici minori ( ansia e depressione ) sono stati riscontrati in

una percentuale tra il 33% ed il 93% dei pazienti e sembrano essere

prevalentemente secondari alla patologia dermatologica. Tali disturbi però

possono persistere per anni, anche in caso di guarigione dell’AA (30).

Disturbi psichiatrici maggiori, comprese le psicosi, possono essere

presenti nell’ 11% dei casi (34).Una recente indagine sui disturbi della

personalità di questi pazienti ha dimostrato un buona parte di essi la

difettosa capacità di stabilire rapporti interpersonali positivi (avoidance in

attachment) , nella capacità di verbalizzare le loro emozioni (alessitimia ),

forse legati ad un ridotto sostegno sociale a loro dedicato o alla

sunnominata maggiore frequenza di traumi infantili (35).

Fattori neuroimmunologici

Il sistema nervoso periferico sensitivo ed il simpatico possono produrre

produrre neuromediatori che modulano l’infiammazione e i processi

proliferativi. Sono da ricordare i riscontri di danni alle fibre nervose

simpatiche nell’AA (36), che potrebbero portare a riduzione

dell’immunotolleranza locale (37). Invece l’eccesso delle catecolamine

circolanti sotto stress- dimostrato anche nell’AA dai loro metaboliti

urinari (38)- può portare all’aumento del numero e dell’attività delle

cellule Natural Killer (39), evento dimostrato nelle forme più serie di AA

(40). Nell’AA si ha riduzione di calcitonin-gene-related peptide (CGRP) e

la sostanza P (SP) nelle prime fasi è aumentata. Il neuropeptide CGRP ha

una potente azione antinfiammatoria. La SP, insieme al Nerve Growth

Factor è in grado di indurre il Catagen attraverso la degranulazione dei

mastociti perifollicolari nel modello murino del Telogen Effluvium da

stress . La SP è inoltre in grado di indurre la comparsa degli antigeni di

istocompatibilità di I classe sui cheratinociti e la produzione di

Interleuchina-2 da parte dei linfociti T che posseggono il recettore

specifico, i CD8 citotossici (41).

Stagionalità

In buona parte dei pazienti affetti da AA non è possibile riscontrare nessun

evento scatenante. In un nostro studio (42) abbiamo verificato che nella

maggior parte dei pazienti con AA recidivante ,atopici e non atopici, i

nuovi episodi presentavano un andamento stagionale con un minimo di

recidive nei mesi estivi ed un incremento nell’autunno-inverno (fig.7).

Fig.7. Andamento medio delle recidive nel biennio 1992-94

Ulteriori osservazioni –sempre in una casistica prevalentemente pugliesenei

recenti anni -più caldi rispetto alla media dei precedenti- hanno

dimostrato che la curva delle recidive si spostava: il picco di recidive si

presentava solo in pieno inverno (fig.8).

Fig87. L’andamento delle recidive nel 2006 (ma l’andamento è stato simile dal 2005 al

2008) si sposta, riducendosi di frequenza, seguendo l’andamento delle temperature

medie (maggiori,rispetto agli anni precedenti).

Quest’andamento ci ha spinto ad ipotizzare che almeno in alcuni pazienti

l’alopecia venga innescata dall’inizio di un nuovo ciclo

pilare,condizionato dalle temperature, come avviene nei cicli pilari

normali (43 ),nel momento di massima espressione degli antigeni

melanocitari e cheratinocitari di moltiplicazione e differenziazione .

Patodinamica

Molti tentativi sono stati fatti per stabilire la sequenza degli eventi follicolari

nella formazione dell'AA. Eckert e coll. (6) studiarono capelli strappati da una

serie di zone concentriche. I loro risultati confermano precedenti supposizioni

che l'AA cominci con un anticipo della fase telogen dei follicoli in un punto

focale da cui questo processo si diffonde verso l'esterno a ondate. Comunque le

variazioni osservate nel numero di capelli normali in telogen, di capelli

distrofici e di capelli a punto esclamativo possono essere meglio interpretati se

si postula che i follicoli possano rispondere in tre differenti modi al trauma

patologico, secondo l’intensità di quest'ultimo. In base alla sua gravità esso

danneggia e indebolisce i capelli nella zona cheratogena, e allo stesso tempo

può far precipitare il follicolo verso la fase catagen. Tali capelli si spezzano

quando la zona cheratogena si estende a pochi millimetri dalla superficie del

cuoio capelluto e successivamente vengono espulsi come peli a punto

esclamativo. Alternativamente un follicolo può semplicemente precipitare in

normale catagen e successivamente cadere come capello a clava. Tali follicoli

possono poi produrre capelli in anagen distrofico con peli più sottili,malformati

o vello. Infine è possibile che alcuni follicoli risultino danneggiati a tal punto da

andare incontro ad alterazioni distrofiche tali da arrestarsi in fase anagen III o

IV, quando iniziano la cheratinizzazione delle cellule precorticali e la

melanogenesi, dando origine a cicli abortivi consecutivi ( peli “nanogen” ) (4).

Sembra che l’alopecia areata colpisca solo i follicoli che si trovano in una

ristretta sottofase anagenica, quella a maggiore attività mitotica (anagen V).

Nell’uomo questa evenienza può verificarsi soprattutto in soggetti con pochi

peli in telogen ed in regioni in cui l’anagen è più lungo. Ciò spiega come

l’alopecia areata sia più rara nei pazienti con alopecia androgenetica,

nei quali l’anagen è di breve durata, e come la localizzazione in zone

ad anagen più breve (nuca, regioni temporali, e –peggio- pube e sopracciglia)

abbia una prognosi peggiore. La durata della noxa condiziona così l’espansione

dell’alopecia alle altre aree corporee con Telogen prolungato. Tuttavia non si

verifica quasi mai un danno permanente del follicolo pilifero nonostante esso

vada incontro ad una serie di fenomeni degenerativi più o meno rilevanti.

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